I LINFEDEMI Articolo tratto dal sito del Prof. Corradino Campisi
http://www.chirurgiadeilinfatici.it/it/linfedema
Epidemiologia
I dati ricavabili dalla Letteratura internazionale, corrispondenti a quelli ufficiali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità , riportano un’incidenza del linfedema nel mondo pari a 300 milioni di casi (circa una persona ogni 20). Quasi la metà dei linfedemi è di origine primaria, caratterizzati da una base congenita linfangioadenodisplasica, ossia dovuta ad una malformazione e conseguente malfunzionamento dei linfonodi e/o vasi linfatici. Altri 70 milioni sono di origine parassitaria (le forme più frequenti sono rappresentate dall’infestazione da Filaria Bancrofti), particolarmente presenti nelle aree tropicali e subtropicali (India, Brasile, Sud-Africa). Altri 50 milioni sono post-chirurgici e specialmente secondari al trattamento del carcinoma mammario. Gli altri 30 milioni sono essenzialmente causati da problemi funzionali di sovraccarico del circolo linfatico (particolarmente, in esiti di flebotrombosi profonda dell’arto inferiore, insufficienza epatica, sindrome nefrosica, fistole artero-venose).
In particolare, per quanto concerne il linfedema secondario, l’incidenza del linfedema secondario dell’arto superiore nelle donne sottoposte a mastectomia o quadrantectomia con linfoadenectomia ascellare e, cioè, pari a 20-25%, sino al 35-40% con l’associazione della radioterapia. Con la tecnica del linfonodo sentinella, l’incidenza del linfedema secondario varia dal 3% al 22%. Per quanto concerne il linfedema degli arti inferiori secondario al trattamento di tumori della sfera ginecologia e urologica, l’incidenza varia dal 5% al 30%. Data l’elevata incidenza del linfedema secondario, è opportuno sottolineare l’importanza delle possibilità di prevenzione della patologia linfostatica, sia in termini di diagnosi precoce che di trattamento tempestivo. Il sesso più interessato è quello femminile e l’età più colpita corrisponde alla III-IV decade di vita.
L’incidenza della linfangite, clinicamente più o meno manifesta, come complicanza della linfostasi, è risultata molto elevata (praticamente nella quasi totalità dei casi), a tal punto da richiedere un trattamento antibiotico protratto, sia a scopo terapeutico che profilattico.
Patogenesi
Classificazione anatomo-patologica e stadiazione
I linfedemi vengono generalmente suddivisi in primari o congeniti e acquisiti o secondari.
I linfedemi primari sono ulteriormente distinti in connatali, cioè presenti già alla nascita, oppure a manifestazione precoce, se compaiono prima dei 35 anni, o tardiva, se si manifestano dopo i 35 anni. Tra i connatali si distinguono le forme sporadiche da quelle eredo-familiari che, per lo più, possono essere inquadrate in sindromi malformative più o meno complesse, correlate o meno a specifiche alterazioni genetiche. Per l’identificazione del tipo di displasia che sta alla base delle diverse forme di linfedema congenito, si segue la classificazione di C.Papendieck: LAD I (linfangiodisplasia – displasia dei vasi linfatici), LAD II (linfadenodisplasia – displasia dei linfonodi), LAAD (linfangioadenodisplasia – displasia dei linfatici e dei linfonodi). Nel termine displasia si include: agenesia, ipoplasia, iperplasia, fibrosi, linfangiomatosi, amartomatosi, insufficienza valvolare.
I linfedemi secondari possono essere distinti in post-chirurgici, post-attinici, post-traumatici, post-linfangitici e parassitari.
Classificazione dei linfedemi
Primari o congeniti
- Connatali (presenti già alla nascita)
- Sporadici
- Eredo-familiari
- Precoci (compaiono prima dei 35 anni)
- Tardivi (compaiono dopo i 35 anni)
Secondari o acquisiti
- Post-chirurgici
- Post-attinici
- Post-traumatici
- Post-linfangitici
- Parassitari
Generalmente, per la stadiazione dei linfedemi ci si affida ad un sistema suddiviso in 3 stadi, anche se il II e il III possono essere a loro volta suddivisi in due sottostadi, configurandosi così una stadiazione in 5 stadi.
Stadiazione dei linfedemi
Stadio 1:
a) Assenza di edema in presenza di alterazioni delle vie linfatiche (ad es., mastectomizzata con linfadenectomia ascellare con arti coincidenti in quanto a volume e consistenza).
b) Lieve edema reversibile con la posizione declive ed il riposo notturno.
Stadio 2: Edema persistente che regredisce solo in parte con la posizione declive ed il riposo notturno.
Stadio 3: Edema persistente (non regredisce spontaneamente con la posizione declive) ed ingravescente (linfangiti acute erisipeloidi).
Stadio 4: Fibrolinfedema (verrucosi linfostatica iniziale) con arto a “colonna”.
Stadio 5: Elefantiasi con grave deformazione dell’arto, pachidermite sclero-indurativa e verrucosi linfostatica marcata ed estesa.
Tale stadiazione comprende sia i linfedemi primari che quelli secondari, i linfedemi già clinicamente manifesti e quelli subclinici (stadio IA), nei quali la linfoscintigrafia consente di individuare precocemente una iniziale alterazione circolatoria linfatica, e l’evoluzione clinica della malattia, prescindendo dalla natura del linfedema. La stadiazione del linfedema si basa su criteri clinici e diagnostico-strumentali: entità dell’edema, andamento clinico della malattia durante l’arco della giornata e con il variare del decubito, numero ed entità delle complicanze linfangitiche, consistenza dell’edema e alterazioni cutanee correlate alla malattia.
E’ possibile, infine, valutare la gravità del quadro clinico sulla base della differenza volumetrica tra gli arti, definendola minima (<20% di aumento di volume), moderata (aumento dal 20 al 40%) e grave (> 40 % di aumento).
Presentazione clinica e cenni di fisiopatologia
Nella maggior parte dei pazienti, sulla base dell’anamnesi e dell’esame obiettivo, si può agevolmente porre diagnosi di linfedema: edema generalmente di consistenza aumentata, a seconda della maggiore o minore componente tissutale fibrosclerotica, assenza del segno della fovea, anche negli stadi più precoci della malattia, presenza del segno di Stemmer (non plicabilità della cute alla base del 2° dito del piede), lesioni distrofiche cutanee (sequele post-linfangitiche, ipercheratosi, verrucosi linfostatica, linforrea, chilorrea), frequenti complicanze dermato-linfangio-adenitiche (DLA). Utile, inoltre, la valutazione delle stazioni linfonodali, per evidenziare l’associazione o meno di linfoadenopatie acute o croniche.
Nelle forme più complesse di angiodisplasia, caratterizzate da una condizione di iperstomia artero-venosa (Sindrome di Mayall) o da macro e microfistole artero-venose congenite (Malattia di Klippel-Trénaunay o di Klippel-Trénaunay-Servelle), il quadro clinico può essere caratterizzato da: gigantismo con allungamento dell’arto, dismorfismo più o meno marcato del piede, angiomi color “vino Portoâ€, piatti e a carta geografica, iperidrosi della pianta. Esistono, tuttavia, forme spurie, ancora più difficili da diagnosticare per la prevalente componente linfedematosa.
In alcuni casi, inoltre, la presenza di condizioni sovrapposte quali l’obesità patologica, l’insufficienza venosa, il trauma più o meno evidente e ricorrenti infezioni possono complicare il quadro clinico. Inoltre, nel considerare l’origine di un linfedema uni o bilaterale delle estremità , specialmente negli adulti, è necessario prendere anche in considerazione l’eventualità di una causa tumorale. Per tutte queste ragioni, prima di inoltrarsi nel trattamento del linfedema, è assolutamente indispensabile un valutazione diagnostica completa ed integrata. L’associazione di altre condizioni patologiche, quali l’insufficienza cardiaca congestizia, l’ipertensione arteriosa e patologie cerebro-vascolari, compreso l’ictus, possono a loro volta influenzare l’iter terapeutico.
Qualora non fosse chiara la diagnosi di linfedema o ci fosse bisogno, anche per considerazioni di ordine prognostico, di una migliore definizione diagnostica del quadro clinico, è opportuno un consulto specialistico linfologico, indirizzando il paziente ad un centro specializzato di Linfologia.